Dall’unione di Big data e marketing nasce il Big data marketing. I primi, infatti, stanno rivoluzionando le metodologie tradizionali con cui in passato le aziende analizzavano il proprio mercato di riferimento in vista della strategia e della tattica da adottare nella relazione con i clienti. Una delle metafore più ricorrenti, a proposito dei Big data, è quella di “nuovo petrolio” del mondo moderno. Ma forse sarebbe il caso di usarne un’altra, quella di “miniera d’oro”. Questo perché, in virtù della loro ampiezza e disomogeneità, i dati necessitano di essere “estratti” dalle varie sorgenti da cui provengono (siti web, social media, device IoT presenti nei negozi ecc.) per poi subire vari processi (ingestione, integrazione, armonizzazione, analisi ecc.), in grado di trasformarli in valore per il business.
Secondo l’omonimo Osservatorio del Politecnico di Milano, nel 2018 la spesa delle aziende italiane in sistemi di Big data analytics ha raggiunto quota 1,393 miliardi di euro, il 26% in più rispetto all’anno precedente. Una cifra che, per il 45%, riguarda software per acquisire, elaborare, visualizzare e analizzare i dati, nonché applicativi per specifici processi aziendali.
Il Big data marketing non si esaurisce, però, con i sistemi di analytics. Al cuore della sua innovazione c’è un impianto architetturale complesso, cioè una serie di strumenti e tecnologie capaci non solo di “estrarre” l’oro dalla miniera costituita dai dati, ma anche di convertirlo in manufatti preziosi. Fuor di metafora, significa che tutte le informazioni ricavate dall’interazione customer-brand nel Big data marketing diventano azioni personalizzate dirette al singolo cliente. Un cliente che viene seguito passo passo lungo il suo customer journey, sia online sia offline, per rilevarne i gusti, gli orientamenti e i punti di attrito che ne possono determinare la disaffezione (churn analysis).
Dopo di che, le attività di marketing automation conseguenti (invio di newsletter, notifiche push, proposte di acquisto in chiave upselling e cross selling) saranno tanto più pertinenti quanto più precisa è stata la profilazione del soggetto. Gli esiti del Big data marketing, perciò, sono una customer experience caratterizzata da livelli di engagement e loyalty che non temono confronti.
Proseguendo nella metafora della miniera d’oro, se un tempo erano sufficienti piccone, pala e setaccio, che possiamo paragonare ai classici file Excel o ai CRM di vecchia concezione, oggi occorrono trivelle e GPS, vale a dire software particolarmente evoluti. Alla base anzitutto serve una Cloud Data Management Platform (CDMP), un framework che raggruppi più funzioni modulari, ciascuna delle quali assolva a un compito specifico in sintonia con le altre. Solo così il modulo che si occupa di memorizzare ed elaborare enormi quantità di dati potrà dialogare con quello che si interfaccia con i dispositivi IoT (Internet of Things), collocati all’interno degli store. O, ancora, la mole di informazioni archiviate potrà essere convogliata verso dashboard analitiche e algoritmi di intelligenza artificiale e machine learning, con cui anticipare tendenze in maniera predittiva. Da qui i vari output che possono prendere la strada della product recommendation, del lead scoring, del dynamic pricing e così via. Tutte potenziali automazioni rese possibili dal Big data marketing.
Saper gestire i dati richiede ovviamente il possesso di hard skill in aree altamente innovative, unite a collaborazioni consolidate con i vendor e i system integrator di riferimento sul mercato. Ma richiede anche un approccio che tenga insieme la conoscenza degli strumenti con una concezione del marketing che sia al passo con i tempi. Il Big data marketing, infatti, non è soltanto il complesso delle tecnologie che riescono a far fruttare la miniera d’oro. Rappresenta anche una nuova strategia in un mondo profondamente mutato da quando Philip Kotler ha cominciato ad affrontare il tema. Le grandi opportunità offerte da una gestione intelligente dei dati delle persone non devono far dimenticare l’importanza della tutela della privacy, che sta diventando un fattore di brand reputation dirimente. Per questo, le aziende che decidono di “scavare” nella propria miniera di Big data devono assicurarsi di farlo con un partner che sappia accompagnarle con le competenze e il metodo giusti.