Metaverso: a che punto siamo?
Di cosa parliamo?
Il termine metaverso fu coniato per la prima volta da Neal Stephson nel romanzo fantascientifico Snow Crash nel 1992, in riferimento ad uno spazio tridimensionale all’interno del quale persone fisiche si potevano muovere e agire liberamente tramite degli avatar personalizzati. In questo racconto, un magnate del settore ICT, diffonde un virus neurolinguistico all’interno del metaverso che ha l’effetto di distruggere il cervello delle persone che vi accedono.
Ma la rappresentazione più famosa di un “metaverso”, sebbene il termine non venga utilizzato, è senza dubbio quella della serie Matrix uscita nel 1999 dove l’umanità vive perennemente ed inconsapevolmente collegata ad una rete di computer che genera una neuro-simulazione interattiva, completamente controllata dalle macchine, del mondo reale che in realtà è stato distrutto dalle guerre e dall’incuria degli esseri umani.
Oggi, con il termine metaverso, tipicamente ci riferiamo in termini generali, ad uno spazio virtuale tridimensionale immersivo che simula uno scenario fisico, popolato da luoghi (terreni, edifici) oggetti (macchine, accessori etc) in cui gli utenti, rappresentati da una propria immagine digitale (avatar) possono interagire fra loro e stabilire relazioni personali e di business.
In altre parole, tale spazio potrebbe assumere la struttura di un vero e proprio universo digitale parallelo a quello fisico.
Ma è proprio così?
Il metaverso è diventato uno dei temi più dibattuti sul panorama mondiale, in particolare da quando Mark Zuckenberg ha cambiato il nome della propria azienda in Meta, dopo aver acquisito anche Oculus (azienda produttrice di dispositivi per la realtà virtuale).
La mission di Meta è quella di far vivere agli utenti dell’ecosistema Facebook un’esperienza totalmente immersiva, diventando il social metaverse first. In tal modo, Facebook diventerebbe, secondo Zuckenberg, la porta di accesso per entrare nel metaverso per eccellenza, dove incontrare gli avatar collegati e avere accesso ad infinite possibilità di accesso a luoghi, asset e relazioni esistenti.
Già oggi esistono molteplici piattaforme immersive basate sulla realtà virtuale, all’interno delle quali è possibile svolgere le più disparate attività.
Tanti universi virtuali fanno un metaverso?
Le applicazioni più famose in questo ambito sono: Decentraland, in cui si possono acquistare case, terreni, parchi e molto altro facendo pagare i visitatori tramite criptovaluta. Su Sandbox (divenuta importante per la sua annunciata partnership con Meta), è possibile possedere e scambiare criptovaluta per l’acquisto di beni virtuali, su Stageverse è possibile assistere a mostre, musei e concerti attraverso filmati in 3D ed esperienze immersive con effetti speciali.
Horizon World di Meta, già disponibile in USA e Canada, permette di creare comunità social virtuali in 3D. Esistono poi numerose piattaforme di gaming, fra le quali Epic Games e Roblox che permettono di creare mondi virtuali e comunità di utenti dedicate al gaming.
Tuttavia, ad oggi tutte queste iniziative ed altre ancora che stanno nascendo, sono isolate fra loro e non compatibili tecnologicamente.
Uno stesso utente col proprio avatar non può passare da uno spazio virtuale all’altro e muoversi con continuità all’interno di diversi spazi virtuali mantenendo la propria identità e i propri asset acquisiti. E secondo la maggior parte degli esperti tale prospettiva sarebbe ancora molto distante dalla realtà, ammesso che i proprietari delle singole piattaforme abbiano realmente interesse a far sì che ciò avvenga.
Proprio per questo motivo secondo un articolo pubblicato dall’autorevole rivista wired l’utilizzo del termine metaverso sarebbe improprio, almeno rispetto alla definizione che invece ne dà Matthew Ball, autore del libro “The Metaverse: And How It Will Revolutionize Everything”, in cui lo definisce “un network interoperabile di mondi virtuali creati in 3D”.
Definizione ambiziosa che giustificherebbe effettivamente il prefisso “meta” utilizzato ormai genericamente, proponendo così la visione di una sorta di nuovo internet in grado di connettere non più solo siti e applicativi web ma interni universi virtuali fra loro. La realtà attuale, tuttavia, come già visto è molto diversa. L’articolo di wired si conclude pertanto con il sospetto provocatorio che quella del metaverso sia solo l’ultima buzzword di marketing utile da un lato per rilanciare prodotti un po’ in difficoltà, tipo gli oculus, dall’altro per creare momento commerciale e spingere aziende ed investitori a sovvenzionare le iniziative correlate.
Non solo Realtà Virtuale
In realtà, gli sviluppi futuri del metaverso, potrebbero muoversi anche in una prospettiva assai diversa da quanto immaginato dal senso comune e dalla volontà di Zuckenberg.
Il fatto è che l’utilizzo della realtà virtuale per riprodurre sensazioni del mondo fisico, ci pone di fronte alcune tematiche piuttosto rilevanti. In un altro articolo su Wired (Metaverso, e se quello vero fosse in realtà aumentata? | Wired Italia) si sottolinea come, per entrare in questo mondo virtuale non basti semplicemente incorporare un paio di normali occhiali, ma sia necessario indossare un casco per la realtà virtuale che ci estranea totalmente da tutto ciò che ci circonda nella realtà fisica.
La prospettiva secondo cui tali applicazioni diventino parte della vita quotidiana, portando gli utenti a passare molte ore immersi in queste realtà virtuali è sotto diversi punti di vista preoccupante sia dal punto di vista della salute fisica che mentale. Bisognerebbe quindi chiedersi quanto tale prospettiva sia realmente auspicabile.
Da questo punto di vista, potrebbe risultare in molti casi più efficace una prospettiva di sviluppo del metaverso basata sull'utilizzo Realtà Aumentata (AR) piuttosto che sulla Realtà Virtuale (VR). In tal modo alcuni elementi virtuali si aggiungerebbero alla realtà fisica, non sostituendola ma integrandola, puntando a migliorare l’esperienza d’uso dell'individuo, il quale manterrebbe comunque contatto con la realtà. Ad esempio, già oggi è possibile utilizzare applicazioni di rappresentazione delle mappe con un visore in realtà aumentata così da vedere le indicazioni digitali direttamente sull’asfalto, con il vantaggio di sapere esattamente dove ci stiamo dirigendo. Oppure all’interno di uno scaffale del supermercato mentre facciamo la spesa, potremmo sfruttare la realtà aumentata per acquisire tutte le informazioni sui prodotti disponibili, come provenienza, apporto calorico, e così via; oppure usufruire di un’esperienza virtuale all’interno di alcuni store di abbigliamento, così da avere l’opportunità di provare abiti prima di eventualmente ordinarli online.
La startup bielorussa Wannaby offre la possibilità di indossare le scarpe che sono acquistabili online, semplicemente puntando la fotocamera sopra i piedi, individuandone la posizione esatta e sostituendo quelle che già indossiamo con un modello virtuale. Inoltre, molti grandi brand della moda stanno facendo uscire le proprie collezioni tramite degli avatar altamente realistici i cui abiti sono personalizzabili. In particolare, Gucci è stato il primo brand ad includere la realtà aumentata all’interno della propria app, dando la possibilità agli utenti di provare virtualmente le iconiche Sneakers Ace. (Gucci punta sulla realtà aumentata - MFFashion.com)
Quale tecnologia?
Sebbene tecnologie di AR e VR esistano già da qualche decennio, sino ad ora la diffusione di questo tipo di soluzioni tarda a decollare.
Le principali cause che ne hanno impedito la diffusione su larga scala sono da identificare nei costi e nella difficoltà per l’utente finale di utilizzare questo tipo di dispositivi per un numero consecutivo di ore.
Oggi il design di questi prodotti sta avendo degli sviluppi interessanti, cercando di portare sul mercato prodotti diversi in base alle esigenze specifiche dell’utente. Tutti i visori sia di VR che di AR stanno diventando via via più leggeri e con migliori prestazioni sia di ampiezza di visione che di tempi di risposta ed usabilità generale. Attualmente l’AR è utilizzabile anche con dispositivi fruibili quotidianamente come smartphone, tablet e dispositivi wearable.
Per iniziare a vivere un’esperienza aumentata basta munirsi di un telefono con fotocamera, localizzatore GPS, ed eventualmente la rilevazione dei parametri vitali. Anche le tecnologie software stanno facendo progressi notevoli. Software come Unity e Unreal Engine hanno raggiunto livelli di fotorealismo impensabili solo pochi anni fa, dando la possibilità di sviluppare ambienti tridimensionali complessi e sofisticati, e avatar dalle sembianze umane (metahuman) e dalle movenze quasi indistinguibili da personaggi reali.
Quindi ha senso investire in un particolare metaverso?
Forse un giorno, passeremo più tempo all’interno nel metaverso, che nell’universo fisico. Ma nel frattempo occorrere prestare molta attenzione a una serie di aspetti di cui probabilmente ancora si sottovalutata l’importanza. Innanzi tutto, non esiste ancora una legislazione chiara. Quando compriamo un asset virtuale all’interno di un metaverso, esattamente cosa stiamo comprando, a cosa abbiamo diritto e chi garantisce questo diritto?
Una possibile risposta a questo tipo di quesito è garantire la proprietà degli asset del metaverso tramite la tecnologia blockchain ed in particolare con l’uso degli NFT (non fungibile token).
Sino a pochi mesi se ne prevedeva una crescita inarrestabile, mentre l’attuale andamento del mercato delle cryptovalute denota una grave crisi del settore ed una crescente incertezza sul suo sviluppo futuro. È tuttavia opinione della maggior parte degli analisti che questo mercato avrà una ripresa, raggiungendo anche un livello di maggiore maturità, anche grazie a nuove regole e maggiore trasparenza. Sicuramente l’abbinamento di metaverso e NFT è uno degli aspetti tecnologici che vedrà maggiore sviluppo nel prossimo futuro.
In realtà tutto il settore tecnologico ha subito negli ultimi mesi una forte correzione, basti pensare che il titolo Meta (ex Facebook) ha perso oltre il 40% da inizio anno 2022.
Su questo risultato, oltre alla crisi generale dei mercati, è probabile incida anche l’incertezza legata al cambio di strategia e all’immaturità del mercato del metaverso o comunque degli spazi virtuali che, a discapito delle grandi promesse, già in passato ha visto pesanti delusioni come quello di Secondlife.
Metaverso e vita quotidiana
Infine, come già succede attualmente per tutto il mondo digitale, l’avvento di dispositivi per l’AR o la VR e del metaverso pone ulteriori preoccupazioni dal punto di vista della privacy.
In questo caso, i dati che potrebbero rilevare i dispositivi di realtà virtuale vanno da quelli biometrici, alla possibilità che tali dispositivi possano registrare l’ambiente circostante dalla propria stanza da letto, o il proprio ufficio.
Un altro rischio sociale da considerare è quello sulla personalità del nostro avatar. Come l’utilizzo di quest’ultimo cambierà il nostro modo di percepire il mondo? Come altererà le nostre emozioni nella vita reale? Come cambieranno i rapporti interpersonali?
Quindi quali prospettive ci sono?
In conclusione, il mondo del metaverso guida prospettive di business e di innovazione tecnologica di assoluto interesse, ma allo stesso tempo porta con sé rischi sia di tipo economico che sociale che non possono essere trascurati. Di sicuro siamo solo all’inizio di un percorso di cui è ancora difficile intravedere l’evoluzione.
Tratteremo questi temi e molto altro nei prossimi blog. Se sei interessato all’argomento, segui la community Relatech sui social, per restare aggiornato su tutte i temi riguardanti le tecnologie di frontiera.